IL BUON GHERARDO

Il "buon Gherardo", come lo definì Dante, eletto capitano generale di Treviso, governò la città distribuendo doni e sciagure. Tra l'altro favorì gli studi, ospitò artisti e trovatori, fisici e letterati. Favorì il completamento delle chiese monumentali di S. Nicolò e S. Francesco e del palazzo municipale, migliorò la rete viaria, costruendo ponti e strade. Ma cambiò anche gli statuti a suo favore, divenendo tiranno incontrastato e dispotico e, come scrive il Tessari, "elusivo, canaglia, talora raffinato". Il Michieli, nella sua "Storia di Treviso" ricorda che Gherardo fu accusato di aver ordito nel 1298 l'uccisione del Vescovo di Belluno Iacopo da Valenza e quella del fanese Iacopo del Cassero, pugnalato da sicari nello stesso anno a Oriago. Piccoli misfatti. .. che forse Dante ignorava quando venne a Treviso (se venne) nel 1306 e cioè in epoca in cui Gherardo era passato a miglior vita. Comunque, Gherardo da Camino fu uomo politico tollerante e astuto, buon diplomatico con Venezia e gli altri confinanti. Fece la pace con Tolberto dei Caminesi di sotto, concedendogli la mano della figlia Gaia, nota per la sua avvenenza. Di essa abbiamo una vasta letteratura e i giudizi espressi dai vari storici nei suoi confronti, spesso contrastanti, sono stati raccolti dal Marchesan in una pubblicazione. Cortigiana o timorata di Dio, Gaia da Camino, signora di Portobuffolè, ha riempito le cronache del tempo vivendo da protagonista, tanto che Dante pensò bene di immortalarla nella Divina Commedia (XVI canto del Purgatorio).
Nel 1303, il "buon Gherardo", ormai vecchio e stanco, passò la mano al figlio Rizzardo, che però non dimostrò di essere all'altezza del padre, a causa della sua politica arrogante ed equivoca e delle sue alleanze poco chiare; tali comunque da suscitare i sospetti delle famiglie guelfe trevigiane (gli Azzoni, i Collalto ecc.), che gli tessero la "ragna", facendolo eliminare da un villano introdotto nel suo palazzo di S. Agostino durante una festa. Costui lo colpì con una roncola alla testa (Rizzardo stava giocando a scacchi). Il villano venne ucciso seduta stante dagli stessi congiurati che gli avevano armato la mano, preoccupati certamente di levare di mezzo un pericoloso testimonio. Rizzardo morì dopo qualche giorno tra le braccia della moglie Giovannina Visconti.
Gli succedette il fratello Guecellone, definito maestro di intrighi e di doppi giochi, tanto infido da provocare la sollevazione generale dei trevigiani, i quali, con a capo il Vescovo, lo cacciarono dalla città (15 dicembre 1312), costringendolo in tutta fretta a riparare a Serravalle di Vittorio Veneto.
Dopo questi poco edificanti esperimenti, Treviso non voleva più saperne di "signorotti", ma purtroppo la sua aspirazione a conservare l'indipendenza, dandosi nuovi statuti comunali, costruendo nuovi e robusti fortilizi, incorag­ giando gli studi e il ritorno alla sue più belle tradizioni, venne a cozzare contro le mire di due potenti e bellicose  famiglie del tempo: quella di Can Grande della Scala Signore di Verona e quella di Francesco il Vecchio da Carrara, padrone di Padova. È il primo che ripetutamente porta le sue truppe sotto le mura della città, tentando di conquistarla con il valore o con l'inganno, in ciò aiutato da Guecello da Camino, che non si era rassegnato al suo esilio. In questo periodo i trevigiani, inferociti per i tradimenti e le connivenze di alcune famiglie con Cane, rasero al suolo i palazzi dei Da Camino, di Artico Tempesta, dei Ravagnini, dei Morgani, dei Coderta ecc. Can Grande intanto non mollava e dal campo di Mogliano, girovagando con le sue truppe fra Conegliano e Mestre, teneva sempre sotto minaccia la città del Sile. Fu così che Treviso chiamò in suo aiuto Federico il Bello, Duca d'Austria, che mandò a reggerla prima il conte Enrico di Gorizia e poi altri vicari. Sotto il governo imperiale la città tornò a battere monete per altri sette anni (1319-1326) e ritornò a respirare aria di libertà, nonostante le rivalità e le lotte fra le principali famiglie (Azzoni, Camposampiero, Collalto, Tempesta) che si contendevano la supremazia, favorendo così la agognata conquista di Treviso da parte di Can Grande. Fu infatti durante il debole governo di Guecello Tempesta (iniziato il 5 gennaio del 1327 e durato circa due anni) che la città aprì le porte al Signore di Verona: soddisfazione peraltro costata molto cara in termini di vite umane da una parte e dall'altra e destinata a spegnersi tragicamente appena quattro giorni dopo, con la morte dello stesso Can Grande a causa, si disse, di una violenta colica intestinale provocata dall'acqua fredda delle nostre fontane e bevuta abbondantemente dopo l'ingresso in città.

IL DOMINIO SCALIGERO

Il dominio scaligero a Treviso durò 10 anni (1329-1338) con le connivenze delle famiglie più in vista: i Tempesta, i d'Ortigo, i di Rovero, i dalla Rocca, i da Monfumo, i da Coderta, i Barovieri di Castelfranco ecc. Nel periodo della loro Signoria gli Scaligeri ritoccarono a loro beneficio gli Statuti, imposero nuovi balzelli, riattarono nuovi tratti delle Mura medioevali. Erano i tempi in cui la Serenissima Repubblica pensava di allargare nella terraferma i suoi confini occupando nuovi territori guerreggiando contro gli Scaligeri, i Carraresi, i Gon­ zaga; i Visconti, i conti di Gorizia ecc. Lotte lunghe, ostinate, disseminate da alterne vicende, da connivenze e sottomissioni "spontanee".
Fu così che Treviso nel 1339 finì sotto il dominio di Venezia che nominò suo primo podestà Marin Faliero (il futuro sventurato Doge), il quale si diede a risanare la città dai malanni delle guerre, dedicando anche molta attenzione all'economia agricola. In definitiva tanto bene operò Marin Faliero che l'11 febbraio del 1344 i trevigiani "con unanime deliberazione del Consiglio dei 300, cedettero a Venezia la città, i castelli, i beni, le regioni e le giurisdizioni".
Dopo molti anni travagliati, la città sembrava finalmente godere un periodo di pace e di prosperità, senonché i rumori della guerra si avvicinarono nuovamente alle sue mura a seguito di un conflitto scoppiato tra il re d'Ungheria, Lodovico il Grande e Venezia, per la supremazia sull'Adriatico. Calate nel Veneto, le truppe straniere il 26 luglio 1356 (A. Battistella) assediarono Treviso, rinforzate dalle milizie inviate da Francesco da Carrara, che sognava di estendere la sua signoria nella Marca. Gli Onigo, i Collalto e il Vescovo di Ceneda passarono anch'essi nelle file nemiche, così Venezia, vinta nella battaglia decisiva di Nervesa, il 18 febbraio del 1358 siglò a Zara una pace, recuperando il trevisano ma perdendo tutta a costa dalmata. Altro breve periodo di tregua e poi la Repubblica veneziana si trova invischiata in nuove guerre contro nemici interni e stranieri. Guerre che direttamente o indirettamente coinvolgono anche la Marca Trevigiana finché, abbandonata da Venezia (esausta dal lungo conflitto con la Repubblica di Genova e dalle defezioni interne), Treviso fu "regalata" a Leopoldo Duca d'Austria che, l'8 maggio del 1381, entrò in città festosamente accolto dai trevigiani, ormai abituati a far buon viso a cattiva sorte.

 
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